PROPOSTA PER UNA REVISIONE CRITICA DELL’ APPROCCIO TERAPEUTICO DELL’ALOPECIA AREATA IN BASE AI MOMENTI PATOGENETICI DELLA MALATTIA
Roberto
d’Ovidio, Tiziana Di Prima*
*Coordinatore
Nazionale del Gruppo di Tricologia dell’ Associazione Italiana Dermatologi
Ambulatoriali
Università di Catania
Esaminiamo
ora il momento successivo, nel quale, richiamati dal danno iniziale
provocato al pelo da Mastociti e Macrofagi, intervengono i linfociti diretti
specificamente contro i loro bersagli all’interno dello stesso e che fino a
questo punto erano stati protetti nel loro “santuario” follicolare da un
relativo stato di privilegio immunitario dello stesso.
Una
modalità "classica" per ottenere il blocco del reclutamento
linfocitario, soprattutto nei pazienti con rapida progressione della malattia,
è rappresentata dall'impiego del prednisone per os in dose iniziale di 40
mg/die, con decrementi posologici fino alla sospensione dopo aver ottenuto la
stabilizzazione.
Gli
stessi obiettivi possono ottenersi utilizzando miniboli di steroidi in
pulse-therapy secondo quanto proposto da Sharma e Gupta. Il successo
sarebbe assicurato se la terapia viene istaurata entro le prime 8 settimane
dall'esordio. E’ esperienza comune invece che la terapia cortisonica
utilizzata per ottenere la remissione della patologia pur ottenendo quasi sempre
dei risultati –in dipendenza della dose- raramente sia in grado di
mantenerli alla sua sospensione.
Anche
i cortisonici topici di I e II classe sono utilizzabili nella fase acuta, con o
senza medicazione occlusiva, tenendo presente che va trattata anche la periferia
delle chiazze e in qualche caso tutto il cuoio capelluto ove si ritenga di
scorgere segni di attività a distanza dalle chiazze clinicamente evidenti.
Altro
farmaco che potrebbe trovare un razionale impiego anche in questa fase è la
Sulfasalazina, farmaco largamente impiegato nella terapia della colite ulcerosa,
del morbo di Crohn e dell'artrite reumatoide. L'effetto immunosoppressivo è il
risultato dell'azione immunomodulatoria esplicata a vari livelli: mastociti,
linfociti, NK, cellule epiteliali. In particolare si assiste ad una diminuita
sintesi di IL-12, alla soppressione dell'espressione degli antigeni di
istocompatibilità di classe II indotta dall' IFN-gamma e alla soppressione
della Ossido Nitrico sintetasi dei macrofagi.
La
sulfasalazina è stata impiegata nella terapia di pazienti con AA severa con
percentuali di ricrescita del 23% in forme gravi e irresponsive ad altri
trattamenti.
Successiva
ma non meno importante possibilità terapeutica è rappresentata dalla
modulazione della risposta immunitaria . Questa può ottenersi ad esempio con la
immunoterapia secondo Yoshizawa, che prevede l'applicazione dell'agente
sensibilizzante - nello specifica esperienza giapponese viene adoperato il DNCB
- in sede diversa del cuoio capelluto. Viene infatti trattata settimanalmente
un'area di 2.5 cm2 della parte superiore del braccio o della coscia. Si
otterrebbe, secondo gli autori, una riduzione del defluvium già dopo 3-4
settimane. In effetti con questa particolare modalità si raggiunge il duplice
scopo di ottenere una favorevole inversione del rapporto T linfocitario in senso
Th2, attivare i linfociti immunoregolatori senza provocare un effetto
degranulante sui mastociti locali, come avviene nel caso della immunoterapia
"classica". E’ anche possibile che questo tipo di immunostimolazione
agisca attraverso la produzione di neuropeptidi ad azione immunosoppressiva.
Superata
la fase critica ed ottenuta la stabilizzazione della malattia, si potrebbe agire
per promuovere la ricrescita pur mantenendo l’azione immunomodulante.
Si
può promuovere l'anagen esercitando un effetto "degranulante" sui
mastociti che, in questa fase, sono meno numerosi e distanziati dal follicolo
pilifero, in sede perivascolare ed in grado quindi di giocare il loro ruolo
pro-angiogenetico.
Terapie
ad effetto degranulante potrebbero essere: il ditranolo con modalità revulsiva,
l'immunoterapia classica, l’elettrostimolazione,la crioterapia, la capsaicina
e l’allicina etc.
L'applicazione
del ditranolo va quindi fatta con tempi di posa e concentrazioni variabili, ma
tali da produrre una "dermatite irritativa visibile" con il fine di
provocare un fenomeno "Rembok", il quale consiste nella capacità
di una dermatite eczematosa o della psoriasi di indurre la ricrescita di peli
nelle chiazze di alopecia areata stabilizzate o la loro resistenza alla malattia
nelle aree interessate dalla dermatite. Ne consegue che l'impiego del ditranolo
con tale modalità sarebbe controproducente nelle fasi attive della malattia,
potendo provocare – attraverso l’incremento dell’attivazione mastocitaria
e quindi fenomeni di koebnerizzazione- all’ aggravamento del quadro clinico.
Analoghe
considerazioni rendono ragione della utilità della immunoterapia topica
"classica" che, producendo un eczema da contatto a livello del cuoio
capelluto, aggiunge all'effetto immunomodulante, l'azione degranulante in loco.
La
degranulazione dei mastociti può ottenersi anche attraverso la stimolazione
elettrica delle terminazioni nervose e potrebbe costituire il razionale dell'
efficacia ottenuta in alcuni pazienti con AA sottoposti a questo tipo di
trattamento. Lo stesso vale per una terapia fisica più classica com’è la
crioterapia.
Qualora
all'azione di stimolo sul follicolo pilifero si voglia associare l'effetto
immunosoppressivo si ricorre all'impego dei corticosteroidi di classe I o II
applicati 2 volte al giorno.
A
prevalente effetto immunosoppressivo sono la PUVA terapia total-body e l'impiego
degli steroidi sistemici. Entrambi i trattamenti sono gravati da elevate
percentuali di recidive alla sospensione da cui ne consegue la necessità di una
terapia di mantenimento.
Circa
l'impiego degli steroidi, se da una parte l'efficacia in termini di ricrescita
è indiscussa, il loro impiego è gravato da effetti collaterali a lunga
scadenza e dall'esistenza di pazienti non-responders. Il primo problema potrebbe
essere risolto associando o alternando la terapia con farmaci
"risparmiatori di steroidi".
L’
apparente mancanza di "sensibilità" alla terapia steroidea verificata
in alcuni pazienti parrebbe legata al deficit della Tioredoxina-reduttasi, un
enzima che in condizioni fisiologiche attiva il recettore cellulare ai
glucocorticoidi rendendolo ottimale per il legame.
L'
incremento della tioredoxina ottenibile con l'impiego di antiossidanti, in
particolare del selenio, potrebbe aumentare la responsività al trattamento
steroideo.
I
pazienti con elevati titoli di autoanticorpi organo-specifici circolanti si
gioverebbero in una buona percentuale di casi della terapia con Isoprinosina; in
questi la risposta positiva al trattamento si associerebbe al decremento o alla
scomparsa degli autoanticorpi.
Poichè
però non ci sono evidenze valide per pensare che le attuali terapie possano
eliminare il rischio di recidive della malattia, ottenuta la ricrescita è
necessario impostare una terapia di mantenimento.
Nei
pazienti in terapia con ditranolo, una volta avviata la ricrescita, questa si può
mantenere anche se le applicazioni non producono più alcuna
"reazione". Con l'impiego in modalità "non revulsiva" si
sfruttano gli effetti immunosoppressivi che questo topico esplica: riduzione
delle cellule di Langerhans, riduzione di IFN-gamma e TNF-alfa.
Nei
pazienti trattati con l'immunoterapia, ottenuta la ricrescita, quando questa si
presenta stabile per un periodo di tre mesi, si può procedere con sedute
mensili di mantenimento.
Il
minoxidil 5% applicato 2 volte al giorno è un farmaco sicuramente utile nel
trattamento della AA. Lo riteniamo tuttavia particolarmente indicato nella
terapia di mantenimento in ragione del suo effetto inibente sui canali del
calcio. Questo si traduce in una azione stabilizzante sui mastociti, cellule
"switch-on" delle attivazioni/riattivazioni della malattia. Inoltre,
pur non modificando l'infiltrato linfomonocitario perifollicolare, inibirebbe
l'attivazione extra immunologica dei T linfociti.
Al
fine di ridurre il numero dei mastociti – quali cellule “trigger” della
malattia (donde forse la maggiore incidenza e gravità dell’AA nei soggetti
atopici…) si può ricorrere alla PUVA terapia locale,alla crioterapia, agli
steroidi topici di I classe, dotati anche di un'azione immuno-soppressiva
aspecifica.
Qualunque
trattamento scelto, in base ai criteri esposti e motivati in questa trattazione,
bisognerebbe porsi anche l'obiettivo di proteggere il bersaglio
dell’aggressione autoimmune. Varie sostanze potrebbero svolgere un ruolo
coadiuvante in tal senso: antiossidanti, capillaroprotettori etc; da ultimo si
dovrebbe ragionevolmente pensare alla possibilità di eliminare specificamente
l’antigene bersaglio o rendere nuovamente tollerante il sistema immunitario ad
esso così come spesso avviene spontaneamente nella dermatite allergica da
contatto e come si tenta di ottenere in altre patologie autoimmuni come la
sclerosi multipla e la sclerodermia. Il successo di questi tentativi dipenderà
essenzialmente dalla definitiva identificazione di quali siano le molecole
antigeniche più importanti nell’ induzione della malattia.
In
ultimo - ma non in ordine di importanza - in quel numeroso gruppo (circa il 50%
dei pazienti) che va incontro a recidive o aggravamenti sotto “stress”
psichici si potrebbe proporre un trattamento sintomatico ansiolitico (
Alprazolam ) e/o antidepressivo (Citalopram, Imipramina, Doxepina) o una
psicoterapia.
Anche
i gruppi di supporto costituiti dalle associazioni di malati possono aiutare
nella riduzione del distress provocato dalla malattia e nel recupero
dell’autostima e dell’adattamento sociale che devono comunque essere tra più
importanti fini delle nostre proposte terapeutiche.
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